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sui social si ricomincia a cinguettare

La prima trimestrale del 2019 di Twitter fa ben sperare Jack Dorsey: gli utenti sono 330 milioni, i dati parlano di rilancio.
Il social che sembrava ormai prossimo alla fine, con una chiusura del 2018 con numeri poco entusiasmanti, nei primi tre mesi 2019 ha portato ricavi di 787 milioni di dollari: + 18% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (665 milioni), + 9 milioni di utenti rispetto a dicembre 2018. Dato, quest’ultimo, di non poco peso: sono molti 3 milioni in più di utenti al mese per una piattaforma che lotta da sempre contro account bot latenti, fake e verso contenuti di odio e violenti, procedendo mensilmente alla loro cancellazione. Numeri importanti, quelli degli account di cui Twitter si è liberata: si è arrivati a 70 milioni di account sospesi in 2 mesi, come reso noto a luglio 2018.

E dunque vengono meno quelle che in social mkt sembravano certezze, almeno fino a pochi mesi fa: accanto al lavoro su Instagram e Facebook bisognerà ricominciare a prevedere anche quello su Twitter.

siamo nel bel mezzo di un overload informativo?

I new media hanno stravolto la gerarchia comunicazionale, che non è più verticale (tipica dei media tradizionali – stampa e televisione), ma è diventata orizzontale, in una “parità” di fonti che confonde emittente e ricevente e crea un overload, un sovraccarico di informazione.

La comunicazione a due vie, alla base dell’interazione, è stata cancellata, come l’ascolto e il flusso di messaggi tra emittente e ricevente.

Gli studenti di Teoria e tecniche delle analisi di mercato e di Comunicazione e innovazione nelle pubbliche amministrazioni dell’Università di Napoli hanno fatto una ricerca per comprendere sia i criteri di scelta delle fonti degli utenti italiani, sia il grado di influenza esercitato dai media digitali. Il confine tra emittente e destinatario del messaggio diventa labile: non si è più semplicemente spettatori passivi, ma si diventa protagonisti della narrazione informativa, giungendo ad una «autocomposizione delle fonti» che porta ad una «disintermediazione digitale». Internet, il più diffuso mezzo di partecipazione all’informazione, ha sparigliato le carte verso il basso: permettendo di farsi un’opinione in base alle prime fonti trovate ed impedendo di comprendere l’autorevolezza o meno di un contenuto, tra bufale, fake news e confusione da overload, ha portato a quella che può essere definita “ignoranza 2.0“.

Rispetto all’attesa del telegiornale delle emittenti televisive – salvo, naturalmente, edizioni straordinarie dell’ultim’ora – e gli approfondimenti dei quotidiani cartacei del giorno seguente, un punto a favore dei media sociali è la rapidità di diffusione di contenuti e l’immediata disponibilità di notizie. «I media digitali hanno realmente disciolto la comunicazione di massa in un numero infinito di bit disponibili a tutti coloro che hanno accesso alla rete», si legge nella ricerca. Ma quegli stessi media stanno portando il mondo dell’informazione verso l’era dell’accumulo e dell’overload, rendendo obsoleti gli strumenti tradizionali di diffusione di contenuti e sovraccarica l’etere di messaggi che si contendono l’attenzione degli utenti a causa dell’impossibilità di porre dei filtri.

Il rischio è che gli algoritmi dei social network generino un soft power che influenza gli utenti, nell’errata convinzione di compiere delle scelte, mentre in realtà le azioni vengono effettuate in uno stato di assuefazione e dipendenza, con contenuti selezionati in base alle proprie preferenze espresse in precedenza. Il tempo impiegato nell’utilizzo dei social viene scandito da gesti automatizzati, dalla continua necessità di essere esposti a informazioni e di creare contenuti – dalle foto, agli stati, alle GIF – alimentata dalla volontà di migliorare la propria reputazione online attraverso apprezzamenti, ricondivisioni e commenti. Per gli utenti è sempre più difficile riuscire a individuare l’autorevolezza delle fonti oppure a modificare la propria opinione a causa dell’overload di informazione digitale. E così è il livello di attenzione a venire meno, in un contesto in cui non va più conquistata, ma costruita in base all’architettura del medium di riferimento, divenendo così subordinati alle tecnologie: «chiunque, anche soggetti privi di ogni competenza culturale e tecnologica, viene messo in condizione di pubblicare, di esprimere la sua opinione, soprattutto emotiva». È inevitabile che gli utenti valutino con maggiore attenzione contenuti che reputano interessanti, tendendo a trascurare la credibilità della fonte e gli aspetti più formali, quali lo stile dell’informazione diffusa. strategy DADO

A tal proposito gioca un ruolo decisivo l’emotional sharing, la condivisione emotiva, determinata dal ricorso, da parte di chi divulga i messaggi, a «forme e termini emotigeni» che fanno leva sull’empatia con gli utenti: sarà rilevante lo studio dell’apprezzamento dei contenuti condivisi sui social network, così come il ricorso ad influencer, «filtri della nostra attenzione, delle nostre emozioni, delle nostre labili opinioni» (in base alla reputazione guadagnata o ottenuta orientano in maniera determinante l’opinione e il consenso dei fruitori verso determinati contenuti).
Quella che può sembrare una forma di democratizzazione della cultura non è altro che il proliferare di «folle emotive», aggregazioni di individui spinti dall’omofilia nei confronti di qualcosa che tendono a rifuggire da tutto ciò che è diverso e incoerente rispetto alla propria visione e alla propria opinione. La necessità di ‘essere’ costantemente in rete, il bisogno continuo di interfacciarsi attraverso un display, l’aggregazione e la condivisione emotiva, la ricerca di incremento e miglioramento della propria reputazione online non fanno altro che modificare i processi di conoscenza, impedendo la realizzazione – forse utopica – di una comunità beninformata.

Dalla ricerca emerge chiaramente che «l’individuo incomincia a formare una ipersensibilità, seppur non ancora del tutto espressa, che inizia a porre in discussione la fiducia e la credibilità delle fonti informative, ma è condizionata dal proprio echo chamber e dall’influenza delle proprie reti omofiliache. Questa nuova soggettività biomediatica fa apparire gli individui come su delle zattere violentemente sospinte dalle correnti informazionali, che solo a volte riescono a surfare, capendone limiti, criticità e problematicità», mentre molto più spesso si perdono nella disinformazione totale.

dalla spilla all’elefante

Sì, ma quanto costa?

Capita spesso di trovarci nel mondo di Non ci resta che piangere, ed essere portati a rispondere “un fiorino”, ricordando la voce atona del doganiere a Mario/Troisi e Saverio/Benigni. «Alt! Chi siete? Cosa portate? Sì, ma quanti siete?». Perché fare comunicazione, marketing, relazioni pubbliche, costruire una brand identity, organizzare eventi, dar vita a creatività, pianificazioni, attività di ufficio stampa, social push, e tutte le infinite voci che servono per elaborare la strategia identificata dal pdc non è esattamente come vendere merce al mercato. Un tanto al chilo, con arrotondamento se la spesa è grossa.

No. Le strategie di mkt e comunicazione sono piuttosto un abito cucito su misura. Con variabili infinite: dipende dove si vuole andare (mercato), con quale impatto si vuole entrare (target), che effetto si vuole dare (redemption). Dal costume da bagno all’abito da sera esclusivo, passando per tutte le declinazioni possibili. Stesso discorso per la scelta dei mezzi: può andare benissimo uno skateboard, o può servire un transatlantico o un jet supersonico. Una citycar o un’auto da corsa ad altissime prestazioni: dipende dal tempo, dal tragitto, dal pilota scelti o a disposizione per raggiungere la meta.

E dunque. La domanda giusta non è chiedere quanto costi l’abito o il mezzo di trasporto. La domanda giusta è focalizzare la meta, l’obiettivo. E poi mettere sul tavolo il resto: tempi, mezzi, strumenti, tragitti. Questo significa identificare e realizzare la giusta strategia.

Sì, ma io ho solo bisogno di un logo nuovo e di un po’ di volantini. Quanto costano? Ma soprattutto, li fate? E i siti? Fate anche i siti? Curate anche le pagine Facebook?

La creatività è la benzina delle strategie di mkt e comunicazione. Impossibile prescindere dalla creatività, dal biglietto da visita alla promozione internazionale. Un po’ come diceva il più noto grande magazzino di lusso. Sta a Londra. Ne avrete certo sentito parlare. “Harrods: from a pin to an elephant”. Da una spilla a un elefante: trovate tutto quello che cercate, spaziando in un mondo vasto ed eterogeneo.

Non abbiate paura a chiedere. Non il prezzo, no.

Non abbiate paura a chiedere di individuare al meglio ciò di cui avete bisogno, se avete deciso di costruire una strategia vincente. Magari pensate di aver bisogno di una Lamborghini ultimo modello e non vi siete accorti che la vostra meta è dietro l’angolo, e potete raggiungerla in modo efficiente ed efficace a piedi. O, al massimo, in monopattino.

Non possedere per essere? Ecco la vera digitalizzazione dell’impresa

Quali sono le più grandi compagnie al mondo ? Quelle senza beni, né magazzini, né scorte, ma che sono riuscite a trasformarsi in quest’era digitale. Qualche esempio?

  • La più grande compagnia di Taxy al mondo non possiede macchine (#Uber)
  • La più grande impresa di alloggi non possiede immobili (#Airbnb)
  • La banca che cresce più rapida al mondo non possiede denaro reale (#Bitcoin)
  • La maggiore impresa di comunicazioni tra utenti non possiede infrastrutture (#Skype #WhatsApp)
  • Il maggior rivenditore al mondo non ha inventario né magazzino (#Alibaba)
  • Il principale mezzo di notizie al mondo non ha redattori (#Twitter)
  • La maggiore piattaforma di film non ha cinema (#Netflix)
  • La maggiore stazione di trasmissioni radio non ha né microfoni né emittenti (#Spotify)
  • I maggiori venditori di software al mondo non programmano (#Google, #Apple)

La trasformazione digitale sta avvenendo adesso. O forse è già avvenuta. Fare impresa oggi è davvero più semplice? O oggi le strategie di impresa sono legate a doppio filo con le strategie di comunicazione? Qualche domanda occorre iniziare a farsela. E comprendere che non basta avere un computer per essere giornalista, comunicatore, artista, grafico, creativo, fotografo, musicista, scrittore, regista, etc. Servono idee, connessioni veloci e, soprattutto, competenze e professionalità.

Continuiamo a cercare

Casa editrice o consulenti strategici di comunicazione, mkt e (social) media? Siamo l’una e l’altra cosa insieme, in progress continuo, con una vision assoluta e chiarissima: quella di continuare a cercare di comprendere e di essere compresi.Arriva con una domanda da non ci resta che piangere, ai limiti della schizofrenia bipolare, il bilancio di questi primi sei anni di ideazione, raccolta e produzione di granelli partendo dalla punta dello Stretto. Continuiamo ad avere la stessa montaliana risposta di allora: “codesto solo possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Siamo cresciuti, abbiamo arricchito il range: non eravamo – non siamo e non saremo – tipografi, non siamo editori a pagamento, non siamo allestitori, non siamo operatori video, né registi, né fotografi. Non siamo pubblicitari, non siamo grafici. Forse potremmo essere comunicatori strategici creativi. Forse potremmo essere lettori convinti di dover costruire ancora spazi liberi e indipendenti. Forse.

Come i migliori calzolai, ultimamente siamo andati in giro con le suole bucate: abbiamo seguito aziende, prodotti, istituzioni, abbiamo ideato e realizzato eventi e rassegne, abbiamo pubblicato libri, partecipato a fiere e premi. Ma sempre a testa bassa, sempre senza raccontare ciò che abbiamo fatto: abbiamo preferito continuare a raccogliere i risultati, misurare l’efficacia del nostro lavoro e del nostro modo di farlo. Continueremo così. Ma qualche anticipazione sul prosieguo la vogliamo fare.

Intanto la casa editrice. Abbiamo deciso di operare un piccolo restyling, partendo dal logo e da alcune scelte editoriali. Prestissimo i risultati saranno nelle librerie con i nuovi titoli a cui stiamo lavorando. Nel frattempo stiamo mandando in ristampa, tanto per non perdere il vizio, alcuni dei nostri titoli.
Poi l’area strategica di mkt e comunicazione. E media, in tutte le sue accezioni, partendo dai (o arrivando ai?) social. Ci siamo espansi moltissimo, e con sempre maggiori soddisfazioni. I risultati sono quotidiani: con un po’ di attenzione sarà facilissimo trovarci in settori molto differenti tra loro, ma tutti caratterizzati da un comune denominatore valoriale. Perché lavorare è importante. Ma per lavorare bene bisogna condividere il medesimo orizzonte.

comunicare per necessità

Comunque ci si sforzi, non si può non comunicare. L’attività o l’inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche loro.

Brushstroke, 1965 [Roy Lichtenstein]

Brushstroke, 1965 [Roy Lichtenstein]

È riassumibile nel primo dei 5 assiomi della comunicazione il senso che – prendendo vita dal pensiero di Paul Watzlavick e dalle prime teorizzazioni della scuola di Palo Alto, negli anni Sessanta – sabbiarossa esplora e rielabora in questa follia globalizzata che è il mondo odierno, mettendo a punto e a disposizione un nuovo modo di intendere l’area vasta delle strategie di Communication, Media, Mkt, RP, Event.

Prima, durante e poi c’è la produzione di granelli di sabbiarossa.
Siamo nati in piena crisi del mondo dell’editoria. La nostra scommessa è stata quella, una volta avviata e consolidata la nostra realtà editoriale, di non cedere all’editoria a pagamento e dare vita ad un settore nuovo, ormai prevalente, e strategico. Abbiamo fatto diventare impresa le nostre expertise e skill nel campo della comunicazione, del giornalismo, del marketing, delle rp, dell’organizzazione eventi, dell’uso dei mass media.

I nostri risultati sono il successo dei nostri commitenti, il nostro portfolio, la nostra benzina e il nostro motore.

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